La Lavra di San Saba il Santificato nel deserto della Giudea
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La Lavra di San Saba il Santificato è uno dei più antichi monasteri della Chiesa Ortodossa, e probabilmente uno dei più importanti, dato che questo monastero ha giocato un ruolo determinante nello sviluppo del monachesimo, nella formazione dei servizi liturgici e della teologia, ed ha inoltre custodito la Fede Ortodossa dalle eresie.
San Saba divenne monaco all’età di otto anni in una piccola località della Cappadocia, in Asia Minore; a diciotto anni raggiunse la Terra Santa e divenne discepolo devotissimo di Sant’Eufemio il Grande.
Nell’anno 478 d. C. giunse in questo luogo e qui si stabilì obbedendo all’ordine di un angelo; trascorso poi qualche anno iniziò a formare la sua propria comunità monastica. Quando la prima piccola chiesetta denominata «la Chiesa costruita da Dio» dedicata a San Nicola divenne troppo angusta per la comunità, San Saba eresse la grande chiesa in onore dell’Annunciazione della Madre di Dio, che fu consacrata nel 502 e che attualmente è la maggiore del monastero.
A parte la Grande Lavra, San Saba costruì altri numerosi cenobi e lavre, i più importanti tra questi sono: il Kastellion, il Monastero dei Novizi, Gadaron, il Monastero di Nicopolis, il Monastero della Caverna, il Monastero di Giovanni Scholarios, la Lavra di Eptastomu, e la Nuova Lavra.
Come è noto, San Saba e San Teodosio («doni di Dio») guidarono tutti i monaci verso il Regno dei Cieli. San Saba divenne famoso in tutto il mondo per la sua santità e si addormentò nel Signore nell’anno 532; dopo qualche anno si ritrovò il suo corpo ancora intatto e incorrotto.
I Crociati lo trasportarono con loro in Occidente, ma nel 1964 San Saba apparve in visione a dei monaci cattolici addetti alla custodia del suo corpo e chiese loro di tornare alla sua lavra, cosa che accadde nell’ottobre del 1965.
San Saba per sua abitudine incontrava gli angeli e questo era per lui un evento ordinario ed ovvio; l’angelo difatti lo guidava dove andava ed abitava, e anche gli lo aveva informato sulla morte di San Anthemios l’Eremita e sulla remissione del monaco Giacobbe.
Nell’anno 512 San Saba fece visita all’Imperatore Anastasio a Costantinopoli, un altro angelo lo accompagnò e l’Imperatore stesso lo vide.
Il Santo condusse una vita “angelica” e grazie a questa giunse alla perfezione delle virtù tramite l’amore per Dio e per il prossimo, la mitezza, l’umiltà, ecc.
Riguardo a ciò che San Saba accettò in consegna riguardo agli insegnamenti dei Santi che lo precedettero - come Sant’Euthimios e San Teoctistos – e che poi sarà osservato dalle seguenti generazioni di asceti (come per esempio Santo Stefano il Prodigioso), è degna di menzione l’abitudine di andare a trascorrere il periodo di digiuno di quaranta giorni nel deserto, tra la Lavra ed il Mar Morto, nutrendosi soltanto di un po’ di pane e acqua.
Dopo la morte di San Saba fino alla distruzione della Terra Santa da parte dei Persiani avvenuta nel 614 e degli Arabi nel 638, il monachesimo nel deserto giudaico e nella Santa Lavra raggiunse il suo pieno splendore: nella Santa Lavra di San Saba vi abitavano cinquemila monaci, ed in tutto il territorio del deserto che andava dal Mar Morto fino a Betlemme, e da Gerico fino ad Hebron, se ne erano stanziati quindicimila. I monasteri a loro volta, tra lavre e cenobi, raggiunsero il numero di settanta. Qui divennero semplici monaci personaggi come San Senofonte, ufficiale insigne presso l’Imperatore, e i suoi due figli, Sant’Arcadio e San Giovanni.
Anche San Giovanni il Damasceno, descritto come tra i più grandi teologi e filosofi, compositore di inni di lode durante l’epoca massima dell’impero cristiano, abitò la Santa Lavra e qui trascorse la sua esistenza nella metà dell’VIII secolo.
E tra i Padri più luminosi che vissero ed abitarono in questo monastero, vi furono San Michele Syngellos, e i confessori San Teofane e San Teodoro; questi tre santi uomini furono convocati a Costantinopoli da San Teodoro lo Studita, affinché lo aiutassero nella lotta contro l’eresia iconoclasta.
E ancora San Teodoro il Sabaita, un altro asceta della Lavra di San Saba, fu scelto nell’836 come vescovo della città di Edessa in Siria. Grazie alla sua santità riuscì a persuadere il califfo di Baghdad Al Mamun , a diventare cristiano ed il califfo stesso subì il martirio per la sua fede cristiana. E pure San Michele il Martire, vicino al vescovo San Teodoro di Edessa, che fu martirizzato prima di lui a Gerusalemme dopo aver rifiutato di cedere ai desideri passionali della regina Sa’da, moglie del califfo ‘Abd al-Malik.
Vi sono molti altri Santi tra i monaci sabaiti di questa lavra, alcuni noti e altri sconosciuti; qualcuno subì il martirio sotto i Persiani nel 614 e sotto i banditi Arabi nel 796. Si immagini soltanto che la Lavra di San Saba fu soggetta agli attacchi e alle invasioni dei nemici per ben quattordici volte.
Un igumeno russo di nome Daniele, che visitò la Terra Santa nel 1106-1107, racconta che qui nella Lavra aveva venerato le reliquie di cinque grandi santi i cui corpi erano rimasti incorrotti e che emanavano un’inesprimibile fragranza di santità. Questi Santi erano: San Giovanni il Damasceno, San Giovanni l’Esicasta, San Teodoro di Edessa, il Venerabile Michele e San Afrodisio.
Ma i monaci sabaiti furono baluardo sempre e per sempre della fede ortodossa non solo in Terra Santa ma anche altrove, e San Saba, insieme a San Teodosio, nel 516 difese il monachesimo di Giudea contro la corrente monofisita.
I monaci di questo monastero, che vissero successivamente a questi santi uomini, giocarono un importante ruolo nel condannare tutte le eresie e nel confutarle, dall’Origenismo, al Monotelismo, all’Iconoclasmo, e anche al Papismo quando i Latini introdussero per la prima volta l’eresia del filioque a Gerusalemme nell’809.
Inoltre l’origine dei nostri servizi nella Chiesa Ortodossa, denominato «il Tipicon di San Saba», davvero importantissimo, fu istituito in questa Lavra. Si tratta di un testo che espone i fondamenti delle preghiere e predisposto per la conoscenza della modalità dell’istituzione dei riti e delle orazioni nella Chiesa.
Questo Tipicon fu costituito in diverse fasi e grazie all’opera di numerosi Santi come San Caritone, San Euthimio il Grande, San Teoctisto, San Saba il Santificato, San Sofronio e San Giovanni Damasceno. Esso inoltre ha prevalso attraverso innumerevoli secoli in ogni luogo, da Costantinopoli fino al Monte Athos, e si è strettamente combinato ad alcuni regolamenti del Tipicon studita a Costantinopoli.
Bisogna ancora ricordare che è il Tipicon di San Saba che stabilisce che ogni domenica si celebri l’agrypnia (dal greco ««senza sonno»), ossia si resti a vegliare, e la recita dei centocinquanta Salmi del Re e Profeta Davide suddivisi in venti sezioni.
Su questa base il Tipicon fu poi ampliato con altri riti liturgici come il piccolo vespro – prima della preghiera dell’agrypnia -, la processione che accompagna la preghiera dei cinque pani (e la benedizione del vino e del pane); senza tralasciare che si svolge anche il 6 agosto per la benedizione dell’uva, e il giorno della celebrazione della Trasfigurazione per la prima volta ogni anno.
Il Tipicon utilizzato inizialmente in Russia era quello della Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli, in seguito si passò a quello di Sant’Alessio lo Studita - introdotto da San Teodosio del Monastero delle Grotte di Kiev - e infine fu applicato quello di San Saba nell’anno 1682, anche se permangono alcuni elementi del Tipicon di Sant’Alessio lo Studita, come ad esempio la benedizione del grano cotto (detto kolliva o kutya) .
Dopo la guerra con i Crociati e la signoria mamelucca e turca in Terra Santa, per la Lavra di San Saba non si ripresentò un’epoca d’oro, anche se questo santo luogo rimase sempre il monastero più importante nel deserto abitato dai monaci del patriarcato di Gerusalemme, il luogo più consono per apprendere la vita monastica, come cita la regola del PatriarcaDositheos.
Qui vi è anche una tradizione che riporta come la Santissima Vergine apparve a San Saba prima di porre le basi delle fondazioni di questa santa lavra, e gli promise che ogni monaco che sarebbe vissuto pazientemente in questo difficile luogo custodendo e realizzando un’esistenza spirituale, avrebbe ottenuto tramite la sua intercessione la salvezza eterna. La Vergine disse inoltre che questa lavra sarebbe rimasta protetta fino alla Seconda Venuta del Signore, ed in effetti, nonostante i vari attacchi subiti, il monastero non è stato mai abbandonato fino ad oggi.
Ed è una cosa tremenda pensare che la Santa Lavra è stata costruita all’interno della valle di Josaphat, cioè nella valle di Kedron, che si protende verso il luogo ove sarà posto il trono del Giudice nella Seconda Venuta del Signore, ossia nel Monte degli Ulivi.
Sulle fondamenta rocciose dove la Lavra poggia, scaturisce una fonte di acqua santa; questa sorgente fu concessa da nostro Signore Gesù Cristo a San Saba in modo del tutto miracoloso a seguito delle preghiere e delle implorazioni del Santo affinché i monaci non fossero costretti a percorrere diversi chilometri per procurarsi dell’acqua. La sorgente è l’unica del deserto da cui sgorgano continuamente le acque che dissetano i monaci sabaiti e i molti pellegrini.
È inoltre risaputo che ogni monaco ortodosso quando muore, a causa della benedizione procurata dallo skima reale , non raggiunge la rigidità caratteristica della morte e il suo corpo rimane morbido e profumato.
In aggiunta a quanto esposto, nella Lavra accade anche un altro fatto (possiamo ben dire un secondo miracolo): quando i padri di San Saba riposano, non fuoriesce dai loro corpi nessun cattivo odore, come invece accade usualmente alla gente defunta, nonostante che le loro salme non siano seppellite sotto terra ma rimangano esposte su una piattaforma di pietra. E tutti coloro che si trovano ad un funerale di un monaco sabaita hanno potuto constatare e verificare ciò, ed è per questo che la cripta sigillata rimane aperta, ed è la cripta più profonda del cortile principale della Lavra dove è sepolto lo stesso San Saba.
San Saba continua fino ad oggi ad operare molti miracoli di guarigione per gli ammalati di cancro e per le coppie sterili. Nel passato vi era una palma che cresceva nella Lavra i cui datteri guarivano l’ infertilità; prima che il corpo di San Saba rientrasse al monastero nel 1965 stava quasi per seccare. In seguito i monaci cominciarono a dare ai pellegrini, come benedizione, dei pezzettini di questa palma secca. Di recente questa pianta ha ripreso a germogliare da un’antica radice e le foglie di questa nuova piccola palma mantengono le stesse proprietà di guarigione per l’infertilità.
Le foglie messe in infusione nell’acqua che viene poi bevuta in modo appropriato per diversi giorni, e accompagnata da periodi di astinenza, preghiere, visite alla chiesa e santa confessione, guariscono da questa patologia.
San Saba non ha mai smesso di compiere miracoli anche dopo la sua morte, tra i tanti questo: una volta dei ladri si recarono in un negozio di un cambiavalute cristiano a Gerusalemme per derubarlo; questi si recò alla chiesa del martire San Teodoro e lo supplicò di aiutarlo, ma non ottenne alcuna risposta. Dopo cinque giorni, San Teodoro gli apparve e lo informò sul luogo dove ritrovare i ladri; gli spiegò inoltre il perché fosse arrivato in ritardo e che non era colpa sua se si presentava dopo cinque giorni, difatti tutti i Santi avevano ricevuto l’ordine da Dio di farsi trovare a ricevere l’anima di San Saba e di accompagnarlo al luogo del riposo eterno.
Inoltre ci è stata tramandata una tradizione orale secondo la quale nel 1965, quando dal corpo di San Saba furono tolti gli abiti con cui i latini lo avevano abbigliato e furono sostituiti dagli indumenti sacerdotali ortodossi prima del suo ritorno al monastero, il corpo stesso di San Saba era morbido, arrendevole e aiutava mentre lo vestivano con i nuovi paramenti.
La vita monastica al monastero di San Saba è sotto alcuni aspetti molto rigida. Qui noi monaci seguiamo l’orario bizantino, cioè la mezzanotte inizia con il tramonto del sole, i servizi liturgici iniziano dopo un’ora o due dalla mezzanotte e continuano per sei-sette ore ogni giorno e per nove-dieci ore nel periodo dei quaranta giorni di quaresima.
Nei giorni consueti si consuma un pasto soltanto e solo il sabato e la domenica e i giorni di festa due volte. Durante la grande quaresima il cibo è espressione dell’aridità, lo stesso San Saba non voleva che i monaci sabaiti si preoccupassero di variare la loro dieta e fossero molto occupati nell’orto per procurarsi diverse varietà di cibo. Ed è per questo motivo che nella santa Lavra vengono coltivate solo alcune piante, come gli alberi di ulivo e di limone.
Una volta, quando San Saba era ancora un giovane monaco, venne assalito dal desiderio di mangiare una mela in un momento non appropriato al cibo; superato il desiderio dettato dalla golosità, distoltosi dalla mela, risolse di non mangiarne mai più per tutta la durata della sua vita. E i monaci sabaiti, per ricordare il controllo di sé e l’astinenza di San Saba, e per imitarlo, non mangiano mai mele.
Nel deserto la temperatura oscilla tra lo 0 e i 40-50 gradi, mentre alla Lavra piove soltanto tre o quattro volte all’anno; l’acqua piovana che si raccoglie nelle vasche all’interno del monastero viene utilizzata dai monaci per opere di mutuo soccorso, perciò questo santo luogo dipende solo dalla grazia di Dio per i suoi fabbisogni idrici.
Nel monastero inoltre non viene mai utilizzata l’elettricità, ad eccezione di occasioni estreme e quando il suo utilizzo risulta essenziale per la costruzione di opere.
Infine in questa santa Lavra entrano dalle grondaie non pochi scorpioni provenienti dal deserto, ma per grazia di Dio e per l’intercessione di San Saba, non hanno mai nuociuto a nessun monaco.
La dottrina e l’azione di coloro che nell’Impero Romano d’Oriente, nel sec. VIII e IX, avversarono il culto religioso e l’uso delle immagini sacre.
Composto, dal gr. μόνος "unico, solo" e ϕύσις "natura", già usato in greco (μονοϕυσ) e poi passato in latino (monophysitae) e nella terminologia storica per designare, in opposizione a "diofisiti", coloro che confessano nel Verbo incarnato, dopo l'unione della divinità e dell'umanità, una sola physis. Nella storia del cristianesimo, si indicano in generale le varie dottrine teologiche di coloro che hanno negato la duplice natura, divina e umana, del Cristo, affermando, con sfumature diverse, l’unicità della sua natura, cioè quella divina.
Nella storia del cristianesimo, il complesso delle dottrine del teologo alessandrino Orìgene (183-84 - 253-54) e dei suoi seguaci, che nel tentativo di conciliare la tradizione ecclesiastica con i principi della filosofia platonica, enunciarono tesi peculiari, talora condannate come eretiche, riguardo alla natura del Logos, l’eternità della creazione, la preesistenza delle anime.
Dottrina cristologica diffusa nella Chiesa nel VII secolo elaborata per superare le dispute attorno al modo di operare delle due nature in Cristo; intendeva non sostenere una sola volontà in Cristo ma affermare il primato di quella divina su quella umana, ed ebbe poi vari aspetti a seconda delle formule via via assunte, che comunque concordano nel
riconoscere in Cristo una sola volontà e attività.
Espressione aggiunta dalla Chiesa latina al Credo niceno-costantinopolitano, per spiegare la processione dello Spirito Santo (qui ex Patre Filioque procedit); fu una delle principali cause del dissenso e della separazione tra l a Chies a ortodossa e latina e anche uno dei punti più controversi al pseudo - concilio di Firenze (1439), che tuttavia finì per accoglierla, considerandola aggiunta «lecitamente e ragionevolmente».
Grano bollito mescolato con farina abbrustolita, condito con zucchero, cannella, misto a chicchi di uva passa, mandorle, confetti, erbe odorifere ed altro, benedetto durante il trisaghio necrosimo in commemorazione di un defunto o per celebrare un santo. Il frumento è simbolo del corpo umano destinato a risorgere dopo la corruzione e la polvere del sepolcro «Se il grano di frumento caduto in terra non muore, non potrà produrre alcun frutto.» (Giov. XII,24). I confetti e le piante odorifere ricordano le buone azioni del defunto. La Chiesa commemora tutti i defunti, oltre che genericamente ogni sabato, particolarmente il sabato prima della Domenica di Carnevale e la vigilia di Pentecoste.
Ultimo grado della professione monastica, fatta da coloro che sono giunti a un particolare grado spirituale e hanno un impegno più profondo di preghiera e una condotta di vita molto più austera. Questi monaci si riconoscono dal grande abito che indossano e che ricade sul petto, su di esso in rosso o in bianco sono rappresentati simboli che si rifanno alla vittoria del Cristo sul peccato e sulla morte, alla Passione di Cristo e altre decorazioni simbolico-teologiche.