LA STORIA DEGLI ARBËRESHË

ARVANITIS NAZORAIOS

Libretto di 80 pagine scritto da un'arbreshe per far conoscere la storia e le vicissitudine del suo popolo

Segue una parte del prologo e l'inizio del primo capitolo

BREVE PROLOGO
Vedendo oggi, il cammino di estinzione “intrapreso” dalle ultime “tribù” Arbëreshë esistenti in Italia, abbiamo pensato di accompagnare gli ultimi resti di questo popolo, con i “lamenti”
(funebri e anticipatori nella speranza della resurrezione), del (nostro) cantore dell’Arberia, Girolamo De Rada (Jeronim Radanjvet), che a noi sembrano appropriati per “commentare”
quanto sta accadendo alla nostra povera gente “dostoevskijana:
“Qui, quando la primavera coi miti venti educe i fiori, e le nuvole bianche e lievi move pel cielo come verso regioni senza confino, o quando l’està si empie di frutta in copia da saziare per oltre un anno uomini ed animali, o quando i venti nevosi nei giorni corti ci percuotono ai muri delle case quasi riscuotendoci ad avvisarci del tempo che vola; qui se dal sonno pomeridiano aprendo gli occhi si guarda in quel mondo si sente la sorgente della vita fluire da fuori ed riempirci tutto l’essere; ed a quella ti attieni e il pensiero si eleva al Padre che nella vita ci mise insieme con tanti e può anche là ritenerci per i tempi tutti. Si in questi riposi è la vita. Coloro che incedono absorti dalle cure del vivere e del risplendere in terra, passano quasi distratti dal proprio essere, e quando sono al tramonto forse che chi riguardi indietro a sé domandi: ma io perché fui?
Ma l’uomo di pensieri frugasi là ove respira in lieta sanità continuata, e il tempo che ha gli è libero in cui s’affisi alle apparizioni spirituali tante che deificano la vita; ha egli l’esser suo pieno degli affetti immortali che spirano
nel mondo, e inebriato della vista dell’ordine che regge, svillupandosi dalle materiali cose transitorie. Justitiae domine recate, la etificantes corda. […] Quindi da che la Fede non è più il grande Faro agli uomini, le coscienze
dei fedeli sono turbate guardando nell’avvenire che non sanno. Noi siamo troppo lontani dall’anima di chi al fine può ricordare e dire: “La terra che mi avvinse si lungo tempo non mi macchiò”. Ma l’amore alla patria
e ai santi Padri della Grecia – egli diceva – aver questa aiutata a risorgere nei tempi nostri “ (....).

CAPITOLO I


QUELLI DI UNA VOLTA
“I nostri antenati e padri arbëreshë, parlo di quelli dell’esodo biblico sbarcati nel XV secolo, erano ortodossi: altro che Concilio di Firenze che risulta un falso storico e una falsa unione (…). So benissimo cosa evoca e provoca questa parola: Ortodossi- Ortodossia, ma non dobbiamo fare come lo struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia per non vedere e non sentire, quello che ormai tutti vedono e tutti benissimo sentono, perché forse
disturbatore del quieto vivere della vita insipida dei nostri tempi, senza cioè quel “sale”, che cristianamente parlando dà sapore alla nostra vita, che cristiana voglia dirsi!… Quindi ortodossi è quello che eravamo e “cattolici di rito greco”, quello che nel corso di 500 anni siamo diventati.”
Queste illuminanti e semplici parole del papàs Demetrio Braile ci introducono nella storia religiosa degli arbëreshë e ci dicono cosa una volta erano i cristiani arbëreshë, e cosa invece sono diventati e sono oggi. (...).

Direttore della collana Stilianos Bouris

Chi è interessato E-mail: testimonianza.ortodossa@ortodoxia.it

 

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